
Intorno al 1920 il regista russo Lev Kulešov fa un esperimento. Riprende il primo piano di un attore, che assume un’espressione neutra, e poi realizza tre sequenze. Nella prima sequenza, al volto dell’uomo è accostata l’immagine di una zuppa [ci sono varie versioni di questo esperimento, N.d.A.], nella seconda quella del cadavere di una bambina dentro una bara e nella terza quella di una ragazza.
Quindi chiede al pubblico quali emozioni ha mostrato l’uomo nelle tre sequenze. In sintesi, ecco i risultati:
Zuppa > Area dell’appetito e del gusto.
Bambina morta > Area della tristezza e della malinconia.
Ragazza > Area del piacere e del desiderio.
Non solo: l’attore viene elogiato per la credibilità con la quale ha di volta in volta espresso quelle emozioni.
Eppure, il viso è sempre lo stesso.
Perché, la stessa immagine dello stesso volto è stata percepita come esprimere ora fame, ora tristezza e ora desiderio?
Semplice: perché il senso di ciò che vediamo al di fuori di noi lo creiamo dentro di noi. Ed è così per ogni contenuto, visivo o audiovisivo, che sia.
Il regista ha accostato l’immagine del volto dell’attore a tre immagini in grado di stimolare negli spettatori tre aree emotive differenti e ognuna di queste aree ha influito in modo decisivo sulle interpretazioni in merito alle emozioni espresse da quel volto, in realtà sempre uguale, sempre lo stesso. Il significato di quanto visto si è creato nella mente degli spettatori, e non corrisponde alla realtà dei fatti (in realtà, l’uomo non prova alcuna emozione particolare).
Siamo dunque in presenza di un contenuto che, attraverso la stimolazione di determinate corde emotive, porta gli spettatori a percepire qualcosa di irreale come qualcosa non solo di reale, ma anche di indubitabile: quell’uomo è di volta in volta davvero affamato, davvero triste, davvero eccitato.
Questo potere del montaggio, di provocare un processo mentale che costruisce una realtà sulla base di accostamenti suggestivi e predeterminati, ma non direttamente collegati alla realtà dei fatti narrati, può avere molti sbocchi. Non tutti raccomandabili. Vediamone alcuni. Non riporto di proposito alcun esempio in quanto ognuno può trovarne molti nella propria area di interesse.
– Manipolazione dell’opinione pubblica a vantaggio della propria area ideologica o politica di riferimento o altro ancora.
– Manipolazione dell’opinione pubblica a fini elettorali.
– Aumentare il grado di coinvolgimento entro una narrazione documentaria, che altrimenti potrebbe risultare troppo fredda e poco interessante, al di là dello specifico argomento in questione.
– Costruire una fiction in grado di coinvolgere gli spettatori attraverso un’accurata costruzione dei personaggi e degli eventi.
– Realizzare brevi video divertenti nel quali il gioco è esplicito, e il divertimento deriva proprio dall’accostamento bizzarro di contenuti differenti tra di loro ma connessi dalla logica del montaggio.
Faccio un’eccezione su questo ultimo punto e propongo come esempio la trasmissione televisiva Blob. In questo caso l’effetto comico deriva appunto da un flusso audiovisivo all’interno del quale si susseguono contenuti che provocano negli spettatori quel processo mentale secondo il quale il significato di quanto viene visto viene creato nella loro mente. Se nella clip A vediamo i due poliziotti del film originale, uno dei quali afferma “È la cosa più orribile che abbia mai visto” e nella successiva clip B appare un politico che magari non amiamo troppo, l’effetto comico, sia pure moderato, scatta nella nostra mente.
In definitiva, una tecnica per realizzare un video efficace consiste nel montare il materiale che si ha a disposizione accostandolo in modo tale che, nella mente degli spettatori, si crei la realtà che abbiamo deciso che vedano e alla quale vogliamo che credano.