A un certo punto, il bosco si dirada e Marco vede una casa di due piani. Si avvicina. Bussa. Nessuno risponde. La porta è aperta. Entra. A piano terra, nessuno. Nessuno anche al secondo piano. Marco vede una scala che porta in soffitta. La sale e apre anche quella porta. In un angolo, c’è un enorme ragno bianco. Spaventato, Marco si volta e fa per scappare. Ma una voce alle sue spalle lo ferma. “Aspetta, non te ne andare”. Marco si volta. L’enorme ragno bianco si è trasformato in un Vecchio Saggio.
Alcuni degli abitanti del villaggio non si limitano a scacciare Marco, ma lo inseguono armati di bastoni e spade, per ucciderlo. Lo credono posseduto dal demonio. Marco fugge e si inoltra nel bosco. Ben presto, sempre inseguito dai villici, si trova a costeggiare un dirupo, in fondo al quale scorre un fiume. Ed ecco che dal fiume esce un ragazzino che vola sino al punto in cui si trova Marco, affronta la folla inferocita e la sconfigge.
Nell’ormai lontano 1998, il responsabile del posto dove allora lavoro mi propone di scrivere un libro per ragazzi (che sarebbe anche stato illustrato) sul Giubileo, per una casa editrice cattolica. Io accetto. Dato che non sono cattolico, la prima cosa che faccio è cercare informazioni sul Giubileo, al fine di trovare uno o più temi che possano servire da nuclei narrativi sui quali costruire il racconto. Individuo questi tre (sto ricostruendo il tutto a memoria, potrei non essere preciso): memoria, perdono e riconciliazione.
Decido di ambientare la storia nei 1300, all’epoca del primo Giubileo. Storia che, in estrema sintesi, è la seguente.
Marco è un ragazzino sui dieci anni che ha perso la memoria. Creduto pazzo, viene messo su una “nave dei folli” e lasciato andare alla deriva lungo un fiume. Approda in un villaggio i cui abitanti, invece di soccorrerlo, lo cacciano via. Così per Marco inizia un’avventura attraverso un bosco, dove incontrerà una serie di personaggi bizzarri, sino ad arrivare nella Roma del Giubileo. Qui tutto giungerà a compimento: ritrovata la memoria, arriveranno il perdono e la riconciliazione.
La “storia di questa storia” presenta, secondo me, tre punti curiosi che testimoniano la realtà concreta del lavoro creativo, quando questo si deve confrontare con le condizioni e le esigenze di un committente, ovvero di un editore. A loro volta, questi tre punti ci permettono di vedere tre temi decisivi relativi alla scrittura efficace, qualunque sia il campo nella quale la si voglia esercitare.
1 – Partiamo dai brani con i quali ho aperto il post. Si tratta della ricostruzione mnemonica di quanto avevo scritto nella presentazione dell’idea del racconto, circa una pagina e mezzo di Word. La figura del Vecchio Saggio era piaciuta. Al contrario, l’editor mi disse di togliere il ragno bianco gigante, in quanto era troppo orrorifico e avrebbe spaventato i ragazzi. Mi chiese anche di togliere il personaggio del ragazzino magico: avrebbe potuto richiamare l’immagine di Gesù da giovane.
Vediamo.
* Ragno bianco gigante. Piccoli brividi risale al 1992. Nel 1998, a maggio, era esploso il boom di Harry Potter e la Pietra Filosofale. Posso capire che all’editore non piacesse una presenza simile, ma che il motivo fosse dovuto all’impatto negativo sulla mente dei giovani lettori, mi sembra difficile. Credo più verosimile parlare di linea editoriale.
* Ragazzino magico. Nei Vangeli Gnostici troviamo addirittura un giovanissimo Gesù che lotta contro un drago. Però, anche in questo caso, mi sembra difficile che i giovanissimi lettori avessero conoscenza di ciò o che potessero trovare un simile collegamento in modo immediato e spontaneo. Sempre anche in questo caso, è comunque comprensibile che abbia dovuto accettare senza discutere la scelta dell’editor. Anche se, a differenza del ragno bianco gigante, che proveniva dal mio mondo onirico, il personaggio del ragazzino magico lo avevo pensato di proposito, come una sorta di mix tra la figura del Doppio e quella dell’Ombra junghiana, per cui mi è comunque dispiaciuto un poco “sacrificarlo”.
2 – Il titolo: Un Giubileo da raccontare. Quando mi comunicano il titolo che hanno scelto è estate e sono in vacanza a Livigno. Telefono all’editor. Sintetica ricostruzione del dialogo. “Ho visto il titolo. Non sarebbe possibile lasciare il termine Giubileo nel sottotitolo e fare un titolo senza, che possa valere anche dopo questo periodo?”. “No, vogliamo che il libro venda adesso e il nome del Giubileo nel titolo è necessario. Inoltre, abbiamo già dato il via alle stampe”.
* Sì, ha senso. Detto questo, voglio solo raccontare un piccolo episodio. Qualche tempo dopo la pubblicazione del libro, vado alla libreria San Paolo che si trova dietro il Duomo. Mi presento e chiedo a uno degli addetti come va il romanzo. Mi risponde che va molto bene e che a lui stesso è piaciuto molto. E aggiunge: “Peccato per il titolo, perché è un romanzo che funziona anche senza il collegamento con il Giubileo”. Anche questo ha senso.
3 – Durante un incontro presso la casa editrice, dico all’editor (anche in questo caso sintetizzo e ricostruisco): “Perché i personaggi non parlano?”. Era successo questo: al termine di ogni frase, o insieme di frasi, pronunciate da un personaggio, io avevo usato il verbo dire. Es.: “Sei davvero divertente”, disse Marco. L’editor, invece, aveva praticamente abolito il verbo dire. Tipo: “Sei davvero divertente”, sorrise Marco. Così, quel giorno, me lo trovo di fronte a farmi una lezioncina da saputello come: “Il verbo dire è ripetitivo, bisogna dare vivacità alla storia! Usare piangere, ridere, sorridere, gioire e così via!”.
* C’è chi preferisce fare come me, e utilizzare il verbo dire, e chi preferisce fare come quell’editor. Si tratta di una scelta stilistica, per cui non c’è – come invece cercava di far intendere il saputello – una regola generale per la quale una scelta è migliore dell’altra. Di sicuro, non è questa scelta stilistica a dare o meno vivacità a una narrazione.
Ed eccoci ai tre temi importanti per la realizzazione di un testo efficace.
Il pubblico.
Il pubblico al quale ho pensato per questo articolo è composto da:
– Persone che hanno un blog sul quale pubblicano articoli relativi a una loro passione ma che non hanno particolari conoscenze sulle tecniche di scrittura.
– Persone che vogliono pubblicare la loro prima opera (saggio, romanzo o racconti) attraverso il self publishing.
– Persone che vogliono proporre la loro prima opera (saggio, romanzo o racconti) a una casa editrice. Intendo una casa editrice seria, quindi escludo tutto il mondo degli EAP (editori a pagamento), che dovrebbe essere messo fuori legge.
Prendiamo l’esempio del blog.
È importante definire, sia pure a grandi linee, il pubblico dello specifico articolo, non limitarsi a quello dell’intero blog. In una divisione in macroaree, questo post è dedicato a chi è interessato alla scrittura creativa (romanzi, racconti) e/o a quella professionale (informazione, saggistica, web).

Questa impostazione fa capire subito di cosa scrivere e, soprattutto, di cosa non scrivere. Quali termini usare e quali no. Quale registro stilistico usare e quale no. In questo caso, visto che mi rivolgo a persone che non hanno una specifica conoscenza dell’argomento, ho evitato termini specialistici o tipici del settore, e quando ne ho utilizzato uno (EAP) ho fornito la spiegazione. In ogni caso, oggi, l’abitudine a Ctrl+C > Motore di ricerca > Ctrl+V, rende l’eventuale presenza di termini troppo specialistici un errore meno grave di quanto lo fosse sino a qualche tempo fa. Per quanto riguarda il registro stilistico, ovvero il “tono” della scrittura, ho scelto per una prevalenza di informalità abbinata a razionalità, evitando artifici retorici.
Il titolo.
Purtroppo, con l’esplosione dei Social media, sempre di più l’informazione viene fatta dai titoli. Il titolo conferma una mia convinzione? Sì. Allora lo condivido: visto che ho ragione? Dell’articolo, chi se ne frega. Quindi creare un titolo ben fatto diventa un passo decisivo. Naturalmente, dato che qui parliamo di creazione di contenuti e non di promozione sui Social media, la funzione del titolo deve essere quella di attirare l’attenzione e di invitare a leggere l’intero post o ad acquistare il libro.
Un titolo dovrebbe al tempo stesso attirare l’attenzione e far capire di cosa tratta il testo. Nel caso di questo articolo ho scelto di attirare l’attenzione attraverso un’immagine insolita (“Il ragno bianco gigante”) e una tipica situazione drammaturgica (“La caccia al folle”). Poi ho spiegato qual è il tema centrale del post (“Idee per una scrittura efficace”). In pratica, retorica + logica.
Per quanto riguarda le figure retoriche, qui trovate un ricco elenco: https://it.wikipedia.org/wiki/Figura_retorica
Altri modi per creare un titolo sono utilizzare una domanda, ricorrere al “come”, ispirarsi a frasi scritte all’interno del testo stesso.
Lo stile.
Sullo stile ho già anticipato qualcosa parlando di registro stilistico. Come base, la scrittura dovrebbe rappresentare una manifestazione della personalità dell’autore, per questo si parla di tono di voce. Poi, secondo il tema del singolo articolo, possono prevalere alcuni aspetti rispetto ad altri.
Qui potete trovare una serie di caratteristiche con le quali costruire lo stile del blog e dei singoli post.
Accogliente – Accurato – Aggiornato – Altruista – Amichevole – Analitico – Aperto – Attendibile – Autentico – Consapevole – Conservatore – Creativo – Dinamico – Esigente – Esplorativo – Formale – Gentile – Giocoso – Logico – Obiettivo – Originale – Razionale – Serio – Simpatico – Sincero – Autonomo – Colto – Competente – Disinvolto – Entusiasta – Idealista – Informale – Innovativo – Introspettivo – Pratico – Preciso – Professionale – Progressista – Socievole – Spontaneo – Versatile.
Ma, alla fine, il senso di tutto è racchiuso qui:
“Stupido” disse la mia Musa. “Guardati in cuore e scrivi”. – Philip Sidney