Violenza sulle donne online: quando a farla è la massa

Violenza online sulle donne

La violenza online non esiste.

Esiste la violenza, che si manifesta sotto varie forme e attraverso vari mezzi. Una di queste forme è la parola scritta. Uno di questi mezzi è il web. Grazie a esso le parole violente si moltiplicano e si diffondono, in una sorta di reiterato, osceno e torbido amplesso. E la Storia ci ha insegnato che le parole possono armare le mani.

Stabiliamo una volta per tutte questo: non esiste una “realtà concreta” e una “realtà virtuale”. Non esiste alcuna separazione tra il web e la strada. Per questo

Gli esperti hanno messo in guardia contro la concettualizzazione della VAWG [violenza virtuale contro le donne e le ragazze] virtuale come fenomeno completamente separato dalla violenza «del mondo reale», poiché in realtà rappresenta più propriamente un continuum rispetto alla violenza offline [1].

Per cui

La violenza virtuale contro le donne e le ragazze è una forma di violenza contro le donne [2].

In un altro post abbiamo visto un’analisi generale dell’odio online [3]. Qui invece voglio concentrarmi sul tema della violenza online di massa contro le donne. Quindi non la violenza esercitata online su una donna dal partner o dall’ex partner ma la violenza esercitata da persone contro quella che di volta in volta è la loro vittima stabilita. In pratica, intendo quel tipo di violenza contro le donne per la quale si è distinta la Bestia di Salvini e del suo amico e social media manager Morisi.

Prima che qualcuno mi dica, come è già successo, “bestia sarai tu!”, ricordo che con questo termine ci si riferisce alla società di comunicazione gestita dallo stesso Luca Morisi al servizio di Matteo Salvini.

Vediamo.

La violenza online di massa contro le donne si manifesta soprattutto attraverso queste forme:

– Parolacce, derisioni, offese, umiliazioni. Tutte forme espressive che fanno parte della categoria dell’insulto, ovvero

una grave offesa ai sentimenti e alla dignità di una persona, che si fa con parole offensive, con azioni irrispettose o con un comportamento umiliante o aggressivo [4].

– Auguri di violenze di vario tipo.

– Minacce di violenze di vario tipo.

– Slut shaming, ovvero

l’atto di criticare una donna per la sua reale o presunta attività sessuale, o per comportarsi in modi che qualcuno associa ad attività sessuale reale o presunta [5].

– Incitamento all’odio, ovvero linguaggio che denigra, insulta, minaccia o colpisce un individuo sulla base della sua identità (genere) e di altri aspetti (quali orientamento sessuale o disabilità) [6].

Per riassumere,

l’espressione “violenza contro le donne” significa ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti [7].

Gli effetti di tutta questa violenza possono essere molto seri e colpire in modo pesante la vita della vittima.

Insulti, minacce, aggressioni verbali: le pagine dei social, i commenti online sono vetrine di un’aggressività che si muove senza filtri e senza controlli […]. «Il reale e il virtuale non si distinguono – spiega la psicologa e psicoterapeuta Barbara Forresi – l’aggressione online è una vera e propria aggressione, a tutti gli effetti, e gli esiti psicologici delle parole sulla vittima presa di mira non sono da sottovalutare. Non mi chiederei se l’aggressività è virtuale o reale ma come si manifesta diversamente a seconda di luoghi (e persone)… da questo punto di vista Internet è solo il contesto». Auspici di morte, minacce di ogni tipo e, quando si tratta di donne, di stupro, con dettagli raccapriccianti sulle modalità, l’augurio di subire vessazioni e torture a sfondo sessuale. La sensazione di fragilità intensa che la vittima si trova a vivere quando viene attaccata online è concreta, reale, molto forte. Chi è colpito si sente in pericolo. Si sente odiato, sperimenta un senso di ingiustizia e di debolezza […]. Dal punto di vista sociale, la piazza virtuale quindi ripropone e fa da megafono a ciò che già esiste, con alcune distorsioni legate al mezzo. Nel gruppo intervengono meccanismi di categorizzazione che, spiega ancora Forresi, «si nutrono di stereotipi e pregiudizi come il genere o la cittadinanza, dinamiche di esclusione, polarizzazione delle idee espresse (che in gruppo diventano estreme), deumanizzazione delle vittime e deresponsabilizzazione sociale». Non da ultimo, quando l’odio di un hater diventa ondata di odio, entrano in gioco anche meccanismi di ricompensa, che derivano dall’approvazione degli altri, dei simili e allora odiamo ma ci sentiamo bene, perché siamo sostenuti, appoggiati. Non siamo soli. Questo accresce le probabilità che il comportamento si reiteri nel futuro [8].

Come combattere tutto questo schifo?

I modi sono molti, e comprendono anche l’interazione con i veri tipi di haters, anche se per quelli prezzolati c’è meno speranza che con quelli spontanei, già bassa di suo. Invece, smascherare le fonti della violenza, potrebbe essere utile. Come visto nell’articolo citato prima [9], restando al caso delle pagine Facebook, chiunque mantenga commenti di questo tipo o addirittura pubblichi post tali da provocarli, è del tutto responsabile, restando al tema in questione, di incitamento alla violenza online di massa sulle donne. Quindi, smascherare, dati alla mano, i responsabili di queste infamie, sarebbe già un buon inizio.

FONTI

[1] [2] [6] EIGE (Istituto europeo per l’uguaglianza di genere), Violenza virtuale contro le donne e le ragazze

[3] [9] https://storieanomale.com/2021/11/08/viaggio-nellodio-violenze-camere-degli-echi-e-responsabilita

[4] https://www.treccani.it/vocabolario/insulto

[5] https://www.wikisessualita.org/wiki/Slut_shaming

[7] Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne (ONU)

[8] https://www.ilsole24ore.com/art/il-web-enfatizza-un-aggressivita-cui-effetti-sono-gravi-come-quella-reale-ACp4wMV

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