Nelle folle, l’imbecille, l’ignorante e l’invidioso sono liberati dal sentimento della loro nullità e impotenza, che è sostituita dalla nozione di una forza brutale, passeggera, ma immensa [1].
Prendete il testo da cui è tratta questa frase, Psicologia delle folle di Gustave Le Bon, che risale al 1895, fate qualche adattamento, e avrete il profilo tipico degli haters che oggi ammorbano il web. Abolizione della razionalità a favore di un’emotività acritica, codardia, aggressività, rifiuto di ogni confronto. La feccia di allora è la stessa di oggi. Solo che, oggi, ha quale strumento di diffusione un’arma mai vista prima: il web e, soprattutto, i social.
Iniziamo dalla definizione di odio.
òdio s. m. [dal lat. odium, der. di odisse «odiare»]. – 1. Sentimento di forte e persistente avversione, per cui si desidera il male o la rovina altrui [2].
Purtroppo, l’odio non porta solo il desiderio della rovina altrui, ma anche a compiere determinate azioni tali da contribuire, o tentare di contribuire, alla concreta realizzazione di ciò. Singole persone, gruppi, organizzazioni: chiunque può esserne il bersaglio. Per questo motivo, ovvero per far sì che ognuno applichi quanto qui scritto alla propria personale situazione, non farò esempi di casi specifici.
Iniziamo.
Forme dell’odio
Insulti
Alla base di ogni espressione d’odio ci sono gli insulti.
Un INSULTO è una grave offesa ai sentimenti e alla dignità di una persona, che si fa con parole offensive, con azioni irrispettose o con un comportamento umiliante o aggressivo [3].
Come specifica la Treccani in un’apposita mappa [4], negli insulti sono compresi:
maledizioni
parolacce
derisioni
offese
torti
maltrattamenti
infamie
volgarità
calunnie
provocazioni
umiliazioni.
La definizione di insulto permette inoltre di stabilire un criterio fondamentale per sapere se ci troviamo di fronte a un hater o no: l’hater attacca direttamente la persona o le persone, non i comportamenti. Questi, al massimo, servono come pretesto per gli insulti.
Violenza contro le donne
L’espressione “violenza contro le donne” significa ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti [5].
Dagli attacchi a Carola Rackete a quelli contro due ragazzine minorenni, la Bestia salviniana sì è da sempre distinta per la capacità e il piacere di applicare insulti e altre forme di aggressione verbale contro le donne. Per cui, dal punto di vista della comunicazione, può essere presa come “caso di scuola” in questo campo, oltre che nel campo dell’odio online in generale.
Un’altra forma di violenza mediatica contro le donne è lo slut shaming, ovvero
l’atto di criticare una donna per la sua reale o presunta attività sessuale, o per comportarsi in modi che qualcuno associa ad attività sessuale reale o presunta [6].
Shitstorm
Un’altra caratteristica degli haters è che agiscono in massa contro il bersaglio scelto. E si tratta di una massa veramente notevole per quantità.
Con l’espressione shit storm (letteralmente “tempesta di cacca”) si intende quel fenomeno con il quale un numero piuttosto consistente di persone manifesta il proprio dissenso nei confronti di un’altra persona (o di un gruppo), o di una organizzazione o di una azienda.
Questa tempesta di insulti e/o commenti denigratori si realizza in rete, generalmente sui social media, sui blog o su altre piattaforme che consentono l’interazione.
L’odio genera odio e viene alimentato dall’istantaneità della comunicazione in rete sino ad assumere una portata ingovernabile. L’immediatezza agevola la viralità, cosicché da un commento negativo viene sollevato un polverone che acceca anche il minimo buon senso.
Come noto, la comunicazione virtuale è spesso scevra di filtri accompagnata dalla visione distorta che in rete tutto sia concesso, in un contesto totalmente deregolamentato.
La disinibizione dinanzi ad una tastiera e il presunto anonimato di cui gode internet generano una pioggia di parole cariche di aggressività e avversione fuori controllo.
Ciò che caratterizza lo shitstorming è la reazione a catena. La modalità con cui si manifesta è graduale: c’è sempre un fattore scatenante che sfocia nel primo giudizio negativo.
[…]
Come tutte le tempeste, anche quella virtuale crea distruzione. La gogna mediatica compiuta da un numero indefinito di persone può devastare il soggetto colpito, soprattutto in quanto sovente le critiche sforano il tema originario oggetto dello storming con un conseguente ed importante danno di immagine e di reputazione.
Tuttavia, quando lo shitstorm colpisce un singolo (personaggio famoso ma anche un privato cittadino) le conseguenze possono essere disastrose, anche sul piano psicologico. La violenza verbale in rete, infatti può generare gravi atti di bullismo. I cyberbulli, specialmente se sostenuti dal branco, possono portare la vittima a sentirsi senza via d’uscita, la braccano “virtualmente” umiliandola e mortificandola [7].
Riassumendo, ecco le caratteristiche dello shitstorm:
Grande numero di haters.
Viralità: l’odio genera odio, reazione a catena.
Gogna mediatica.
Violenza verbale.
Crudeltà verso la vittima designata o le vittime designate.
Incitamento all’odio / Hate speech
Non solo l’odio genera altro odio: lo crea, lo incita e lo fomenta. In modo verbale e sotto altre forme comunicative.
Un discorso di incitamento all’odio o discorso d’odio (traduzione della dizione inglese hate speech) è una comunicazione con elementi verbali e non verbali mirati a esprimere e diffondere odio e intolleranza, o a incitare al pregiudizio e alla paura verso un individuo o un gruppo di individui [8].
E nessuno creda che l’odio online sia, nelle sue radici, differente dall’odio di ogni tempo e luogo.
L’odio online non presentava (e tutt’ora non presenta) un’essenza diversa da quella comunemente attribuita all’odio offline. Si parlava sempre di un’azione mirata a sottomettere ed umiliare altre persone [9].
Infatti, molto prima dell’esplosione dei social, era chiaro in cosa consistessero i “discorsi d’odio”. Che sono quelli di allora, che sono gli stessi di oggi.
Stando a quanto raccomandato dal Consiglio d’Europa nel 1997, ricadono nei discorsi d’odio quelle “espressioni che diffondono, incitano, promuovono o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo o altre forme di minaccia basate sull’intolleranza – inclusa l’intolleranza espressa dal nazionalismo aggressivo e dall’etnocentrismo –, sulla discriminazione e sull’ostilità verso i minori, i migranti e le persone di origine straniera”.
[…]
In sintesi, indipendentemente dalle forme assunte (scritte o orali, verbali o non verbali, esplicite o implicite) e dalla portata giuridica (eventuali “reati d’odio”), può ricadere all’interno della definizione di hate speech qualsiasi espressione violenta o discriminatoria nei confronti di altre persone o gruppi di persone [10].
Quindi, ecco le caratteristiche dell’incitamento all’odio:
comunicazione con elementi verbali e non verbali mirati a esprimere e diffondere odio
radici comuni con l’odio di ogni tempo e luogo
razzismo o xenofobia
espressioni violente o discriminatorie nei confronti di altre persone o gruppi di persone.
Gli haters
Per mettere in atto tutte queste forme d’odio qualcuno potrebbe pensare che gli haters siano quasi dei geni. Niente di più sbagliato. Anzi.
Con il termine anglosassone Internet Haters (I.H.), gli esperti di comunicazione e la comunità scientifica internazionale definiscono persone che dietro un alias virtuale o reale, utilizzano le varie piattaforme internet per esprimere il loro odio verso altre persone, verso alcune specifiche categorie di soggetti, verso un’idea, verso un oggetto […]. Vengono definiti come soggetti bigotti, razzisti, pusillanimi, con un livello culturale basso o bassissimo (anche se in possesso di diploma di laurea o di titoli di studio!), insicuri, con una struttura di personalità fragile e adolescenziale, con una scarsissima autostima, con una identità personale debole, che godono nel gettare veleno, delegittimazione e scompiglio […]. Non hanno argomenti e quindi odiano offendendo e cercando di distruggere virtualmente l’oggetto del loro odio [11].
La maggior parte degli haters appaiono come tipici rappresentanti dell’effetto Dunning-Kruger, per il quale
Meno sanno, più pensano di sapere.
Spesso chi ha questo problema tende a imporre le proprie idee anziché limitarsi a dare un parere, ritenendole verità assolute [12][13].
In pratica,
La loro ignoranza rende impossibile per loro comprendere che sono ignoranti [14].
Le Camere degli echi.
Come abbiamo visto, gli haters si raggruppano in masse di individui. Attraverso il web, si viene così a creare un ecosistema comunicativo nel quale i singoli haters trovano conferme delle loro convinzioni. Si ha in questo modo il fenomeno delle echo chambres. In pratica, succede questo: nel web, tra social, aggregatori di notizie e altro, certe persone ricevono una selezione di informazioni, valide o no, basate sui loro interessi e sulle tracce della loro navigazione in blog, siti, social eccetera. Quindi, ricevono quella parte di informazioni che confermano ciò di cui sono convinte. Per questo tendono a condividerle subito e in modo quasi compulsivo, il più delle volte senza neanche averle lette o viste, ma solo sulla base dei titoli e di poche righe di presentazione. Altre persone che la pensano come loro fanno lo stesso. In questo modo, si vengono a creare contesti (pseudo)informativi, veri per chi li frequenta, ma oggettivamente limitati e parziali.
Nella rete, per come oggi è organizzata, si creano delle sfere ideologiche abbastanza impermeabili, dove rimbalzano idee tra loro simili che si fanno eco reciprocamente. Il risultato è un progressivo rafforzamento di tali sfere, sempre più estranee al dissenso e sempre più consolidate nelle proprie convinzioni […]. Ma questo niente ha a che vedere con la rilevanza, la correttezza, la significatività sociale. E quando sulle «preferenze» iniziano a definirsi i fatti, le notizie, gli eventi rilevanti, la deformazione del reale diventa un rischio altamente probabile – una deformazione che deriva dalla parzialità e dalla assolutizzazione della propria percezione parziale del mondo [15].
Insomma, nelle camere degli echi abitate dagli haters, l’odio si autoalimenta, diventando sempre più forte e violento.
I responsabili dell’odio.
Colpire ogni singolo hater potrebbe rappresentare un compito difficilmente realizzabile, anche se auspicabile. Individuare, colpire e punire adeguatamente chi permette la creazione e il diffondersi dell’odio sarebbe invece facile e dovrebbe essere fatto sempre. Vediamo come e perché (quanto segue rappresenta la sintesi di una ricerca svolta nel web sul tema).
– Gli amministratori di Pagine e Gruppi e anche gli account privati non sono responsabili dei commenti pubblicati in relazione ai loro post, condivisi o creati. Lo diventano se non rimuovono questi post in breve tempo (circa 48 ore, ma non ho trovato un’uniformità in merito). Esempio: se uno pubblica un commento nel quale, in qualche forma, esprime una forma d’odio, né amministratori né account individuali sono responsabili di ciò. Se però non rimuovono questo commento, dimostrano di approvarne il contenuto, quindi di essere d’accordo con quella forma d’odio e, di conseguenza, dimostrano di essere d’accordo sul colpire la persona o le persone che sono i bersagli dell’hater.
– Prendiamo come esempio una Pagina Facebook nella quale viene pubblicato un commento d’odio. Come abbiamo visto e come sappiamo bene, due sono i tipi di contenuti che possono essere pubblicati: quelli creati da terzi (condivisione) e quelli realizzati ad hoc (pubblicazione diretta o, comunque, relativa a spazi web direttamente collegati alla Pagina). In entrambi i casi vale quanto scritto sopra: chiunque mantenga un commento che contiene odio significa che è d’accordo con quell’odio. Ricordiamoci che, quando si parla di odio online, si parla di aggressioni razziste, xenofobe, discriminatorie, contenenti violenza di genere eccetera.
– Nel caso di un contenuto realizzato ad hoc le cose peggiorano. Molto. Facciamo il caso che sotto al contenuto vengano pubblicati 100 commenti. Se, tra questi, due o tre contengono espressioni di odio, siamo in presenza di due o tre cretini isolati, quindi, siamo certi che l’amministratore della Pagina li rimuoverà subito, magari segnalando i due o tre cretini e specificando pubblicamente che non accetta cose simili sulla Pagina da lui gestita. Ma se, su 100 commenti, 90 contengono espressioni di odio indirizzati verso la stessa persona o lo stesso gruppo di persone, e non vengono rimossi, la questione cambia in modo radicale. Perché questo significa che chi mantiene questi commenti, non solo ne condivide il significato, dunque è persona che appoggia quell’odio, ma che ha addirittura realizzato un contenuto volto a stimolarlo, incitarlo e mantenerlo. Quindi la sua responsabilità è piena e inequivocabile.
– Tutto ciò vale sia per chi ha realizzato il contenuto, sia per chi, sotto qualunque ruolo, ha partecipato alla sua realizzazione e sia per chi lo ha pubblicato e non rimuove quei commenti.
– Nel caso in cui la Pagina sia relativa a una singola persona, o, comunque, a una realtà non normata, lo schifo finisce qui, ed è già molto. Ma nel caso in cui la Pagina sia direttamente collegata a una realtà editoriale iscritta a un Ordine ufficiale, per esempio l’Ordine dei giornalisti, allora è questa realtà nel suo insieme che va considerata come una realtà che, in modo del tutto volontario e premeditato, stimola e incita all’odio.
In questo post, che sta terminando, sono presenti tutti gli strumenti per dimostrare al di là di ogni dubbio che una Pagina Facebook o un qualsiasi altro spazio web, anche solo permettendo il moltiplicarsi di commenti lasciati da haters, promuove e diffonde odio quando, nel caso di contenuti realizzati ad hoc, addirittura lo crea e lo fomenta. Quindi, individuare questi spazi web non sarebbe molto difficile, così come non sarebbe difficile dimostrare quanto sopra. L’importante è farlo.
P.s.: Per vedere una manifestazione concreta di tutto quanto visto finora, dalla strategia, alle dinamiche fino a un nausebondo shitstorm:
Fonti
[1] Gustave Le Bon, Psicologia delle folle, Synopsis
[2] https://www.treccani.it/vocabolario/odio/
[3] [4] https://www.treccani.it/vocabolario/insulto/
[6] https://www.wikisessualita.org/wiki/Slut_shaming
[7] https://www.mycyberlaw.com/il-fenomeno-dello-shitstorm-di-cosa-si-tratta-e-come-contenerlo
[8] https://it.wikipedia.org/wiki/Incitamento_all%27odio
[9] https://www.dirittodellinformatica.it/ict/web/lhate-speech-e-la-violenza-verbale-online.html/
[10] https://www.articolo21.org/2018/02/hate-speech-che-cose-e-come-lo-si-contrasta/
[11] Andrea Giostra, “Internet Haters: chi sono e perché odiano online senza apparente motivo?” in AA.VV, Internet haters e Troll, StreetLib
[12] https://www.greenme.it/vivere/mente-emozioni/effetto-dunning-kruger
[14] https://www.stateofmind.it/2021/07/effetto-dunning-kruger-psicologia
[15] Anna Maria Lorusso, Postverità, Laterza