Video e coscienza: possibile?

Video e coscienza

Anni fa ho ripreso il racconto di Alberto, un uomo affetto da malattia mentale, e quello di suo fratello. Qui i dettagli: https://storieanomale.com/2020/08/18/lappartamento-una-storia-di-follia/.

Adesso parto dalla fine di quel post, perché il tema che mi interessa è: quando riprendi, devi riprendere proprio tutto? Ovvero: qual è il confine tra il diritto di documentare una storia e il dovere di rispettare le persone coinvolte? Mi spiego.

Uno dei grandi piaceri di Alberto era quello di offrire un caffè ai suoi ospiti, presso un bar appena fuori casa. Anche durante le riprese, più volte aveva interrotto il racconto comunicandoci con entusiasmo che poi ci avrebbe offerto il caffè.

Finite le riprese, mentre scendevamo le scale, Lisa, l’operatrice sociale che mi accompagnava, e che aveva partecipato come protagonista, insieme ai due fratelli, all’intervista, mi disse che, appena fuori dalla porta, Alberto si sarebbe messo a correre in modo buffo verso il cancello d’uscita. Mi disse, divertita, di riprenderlo, così, durante la proiezione del documentario, tutti avrebbero riso. Chiarisco subito: Lisa era una bravissima e capace persona, la conoscevo da anni e con lei avevo sempre lavorato molto bene. Si era data molto da fare per Alberto (nel post indicato sopra sono descritte le condizioni nelle quali Alberto viveva…), ottenendo ottimi risultati. Quindi la sua richiesta era fatta in assoluta buona fede e senza alcun intento derisorio o irrispettoso verso Alberto.

Il video complessivo sarebbe stato proiettato davanti a molte persone: autorità di vario tipo, operatori sociali e altre persone operanti nel terzo settore.

Così, quando uscimmo e Alberto cominciò a correre in modo buffo e Lisa mi disse ancora di riprenderlo io dissi di no e riposi la videocamera.

La decisione fu immediata e istintiva. Credo sia stata il frutto dell’insieme di vari fattori. Eccoli.

So che rischio su questo punto di scivolare nel melodrammatico, però sono sincero. Alberto stava correndo a offrirci quel caffè che per lui era così importante e io lo avrei “ripreso alle spalle” perché poi qualcuno si sarebbe divertito (il fratello aveva concesso la liberatoria sia per le riprese che per la proiezione, naturalmente). Quindi, no.

Di solito, la procedura consiste nel riprendere la maggior quantità di materiale possibile, per poi effettuare la scelta in post-produzione. Ma, in questo caso, visto che c’era una precisa indicazione da parte di una persona che rappresentava la società per la quale lavoravo, e che la ripresa sarebbe stata fatta proprio con lo scopo di inserirla nel video finale, sarebbe stato complicato rifiutarsi in un momento successivo. Quindi, no.

Quella ripresa avrebbe aggiunto informazioni importanti alla presentazione della vita di Alberto? No. Certo, avrebbe rappresentato, dal punto di vista narrativo, un finale a effetto ed efficace. Comunque, nonostante questo, no.

Mi è dispiaciuto “deludere” una persona che stimavo sia sotto l’aspetto umano sia sotto l’aspetto lavorativo? Sì. Comunque, nonostante questo, ancora no.

In conclusione, la mia risposta alla domanda “Quando riprendi, devi riprendere proprio tutto?” è no. E la mia risposta alla domanda “Qual è il confine tra il diritto di documentare una storia e il dovere di rispettare le persone coinvolte?” è che qual confine si chiama coscienza.

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