
Un portatile aperto. Appoggiato sul tronco reciso di un albero, in mezzo a un bosco. Vicino a lui, nessuno. È autunno.
Quale storia ci racconta, questa foto? Nessuna. Il suo fascino, il suo potere di suggestione, sta proprio in questo: guardandola, possiamo pensare a decine, centinaia, migliaia di storie. Mai a una sola.
Questa foto non narra una storia, ma genera infinite narrazioni possibili.
Dove si trova il proprietario del notebook? Perché lo schermo è nero? Il portatile doveva ancora essere acceso? Oppure è stato spento? O è in standby? Che cosa è successo? Che cosa sta succedendo? Da quanto tempo si trova lì? C’è o c’era qualcuno insieme al possessore del portatile? Se sì, sono arrivati lì insieme oppure dove si sono incontrati?
E così via. In questo modo possiamo generare dalla storia più elementare (il proprietario del portatile si è allontanato per fare un bisogno fisiologico) a quella più complessa (dal thriller alla commedia, dall’horror al dramma eccetera).
Non raccontare una storia: questo è il più grande potere della fotografia.
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